Parmalat parlerà francese. Il colosso Lactalis, entrato in forze la scorsa settimana nell'azienda di Collecchio, ha acquistato il 15,3% del capitale dai fondi esteri Zenit, Skagen e Mackenzie staccando un assegno di 750 milioni di euro e si è portato a quota 29%, a ridosso della soglia d'Opa. Alla prossima assemblea del 12, 13 e 14 aprile i Besnier, proprietari della multinazionale dei formaggi, hanno ora i numeri per conquistare la maggioranza nel consiglio di amministrazione, almeno sei posti su undici. La loro lista, presentata venerdì scorso, è guidata dal presidente di Lactalis Italia, Antonio Sala, e tra i candidati compare Franco Tatò, che potrebbe ambire al ruolo di presidente, mentre la carica di amministratore delegato, oggi di Enrico Bondi, andrà con più probabilità a uno dei manager del colosso transalpino. Il risanatore del gruppo, dopo il crac del 2003, non è infatti disponibile a mantenere ruoli operativi sotto Lactalis, che avrebbe peraltro provato a proporgli di rimanere come a.d. Del resto Bondi coi francesi non ha mai avuto grande feeling: dieci anni fa, da amministratore delegato in Montedison (ora Edison), si era trovato sotto l'assedio di Edf. Per la borsa la partita è chiusa. Il titolo, già in frenata ieri, ha fatto un capitombolo del 7% a 2,29 euro lontano dai 2,8 euro per azione pagati ai tre fondi dai francesi che, se si considerano anche i titoli rastrellati la scorsa settimana in borsa (ipotizzando un prezzo medio di circa 2,5 euro), hanno sborsato in tutto oltre 1,3 miliardi per mettere insieme il 29% di Parmalat. Poco meno del 'tesorettò accumulato dall'azienda italiana con le transazioni con le banche responsabili del crac. Velocità e soldi, sono gli ingredienti di Lactalis finora mancati alla mai nata cordata italiana, tanto che i fondi, nello spiegare il loro disimpegno, hanno indicato di essere stati avvicinati anche da altri soggetti ma di aver ricevuto un'offerta solo dalla multinazionale d'Oltralpe. Sulle mosse di quest'ultima la Consob vigila per verificare l'eventuale superamento della soglia del 30%, oltre la quale scatta l'obbligo di lanciare un'Opa. Ferrero intanto ribadisce di essere «interessata se matureranno le condizioni» e Granarolo è pronta a mettere asset in un progetto industriale. L'azienda bolognese è partecipata al 19,7% da Intesa Sanpaolo, la banca socia al 2,4% di Collecchio promotrice di un lista con il nome di Bondi per il rinnovo del board di Parmalat. «Speriamo che non sia ancora troppo tardi» per una cordata italiana, ha affermato il presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, ma «bisogna vedere se le banche da una parte e il governo dall'altra possono ancora fare qualcosa». «Non escludo che nei prossimi giorni ci saranno incontri tra Intesa Sanpaolo e il governo», ha proseguito, per valutare un intervento «o anche per mettere la parola fine».
(fonte leggo.it)