giovedì 27 marzo 2014

Perchè sarebbe un disastro uscire dall'euro.


Un'uscita dalla moneta unica determinerebbe non solo un immediato disallineamento degli spread e una conseguente insostenibilità del nostro debito pubblico. Scatenerebbe un'inflazione a doppia cifra con un'esplosione dei costi energetici. In questo contesto la svalutazione non riuscirebbe a rilanciare le esportazioni e il Pil, visto che le filiere globali della produzione hanno già ridotto i vantaggi competitivi dei singoli paesi.
Evidentemente dodici anni di circolazione di una moneta buona non sono ancora bastati per scacciare la moneta cattiva della polemica populista. Tant'è vero che ogni giorno dai bastioni anti-euro arriva una bordata contro la valuta che è diventata unica il 28 febbraio del 2002 per 11 paesi europei per poi, negli anni successivi, entrare nei portafogli di altri sette. Colpi bassi, sostenuti anche da economisti isolati, fautori della tesi della "liberazione" dell'economia dalle catene di una moneta giudicata troppo forte per i paesi della periferia mediterranea e, quindi, per l'Italia.
Le reazioni solite a questa vulgata, quelle che propongono i fatti più duri e che sono sostenute non solo dalla maggioranza assoluta di economisti ma pure dai banchieri centrali, partono dagli effetti di breve termine e ovviamente insostenibili dell'eventuale break-up: l'immediato disallineamento degli spread, il default almeno parziale del nostro debito pubblico (che rifinanziamo sui mercati, in euro, al ritmo di circa 1 miliardo al giorno), il congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate, l'esplosione dei costi energetici e, infine, il ritorno di un'inflazione a doppia cifra.
Uno scenario drammatico al quale i sostenitori dell'uscita dall'euro contrappongono, come giustificazione della loro tesi, il vecchio arnese della svalutazione del tasso di cambio, magico strumento capace, a loro dire, di rilanciare l'export e la crescita del Pil.
Qualche mese fa a mettere in fila almeno quattro fattori che hanno definitivamente affossato l'equazione uscita dall'euro = svalutazione = rilancio di export e Pil è stato il centro studi di Confindustria. Rileggiamoli insieme.
Primo: la diffusione delle filiere globali riducono i vantaggi competitivi di una svalutazione. Non si vive più in un mondo in cui le imprese delle economie avanzate producono interamente in casa i loro beni e servizi importando solo materie prime. Ora si produce importando anche i semi-lavorati che servono a produrre i beni finali da esportare (in Italia, Spagna e Portogallo l'import di commodity e beni semi-lavorati è pari al 60% del totale). In questo nuovo contesto di "supply-chain globale" la svalutazione del cambio renderebbe queste importazioni assai più costose annullando l'eventuale guadagno di competitività.
Secondo: i sistemi bancari in crisi renderebbero difficile ottenere nuovo credito. In pieno credit crunch diventerebbe un'impresa impossibile per le aziende dei paesi più indebitati chiedere finanziamenti per sostenere l'aumento di produzione e soddisfare gli ordini derivanti dalla svalutazione.
Terzo: la più lenta risposta dell'export in un contesto concorrenziale nel quale i paesi più avanzati possono giocare sulla qualità dei loro beni e servizi piuttosto che sul prezzo. La spiegazione è semplice: serve tempo (e nuovi investimenti) per sostituire i semi-lavorati importati con produzioni proprie e mentre questa "sostituzione" si determina la concorrenza degli altri paesi avanza con la qualità (a parità di prezzo) dei loro prodotti.
Quarto: se tutti svalutano nessuno ci guadagna. Il caso citato è quello dell'Argentina del 2002 che ebbe successo abbandonando la parità fissa con il dollaro perchè i paesi vicini che importavano i suoi beni (Brasile e Messico) lasciarono immutati i tassi di cambio. Nel caso dei paesi deboli dell'eurozona la svalutazione sarebbe contemporanea e a guadagnarci di più sarebbero quelli con le maggiori quote di export destinate all'area euro, quindi l'Italia vedrebbe diluiti di molto gli eventuali vantaggi.

lunedì 8 agosto 2011

CRISI: FRANCIA E GERMANIA PREMONO SULL'ITALIA. BCE: "RISPOSTA DECISA AI MERCATI"

La Banca Centrale Europea (Bce) sta valutando l'acquisto di bond spagnoli e italiani su «vasta scala». Lo riporta il Wall Street Journal. L'intervento della Bce su Italia e Spagna è uno spartiacque negli sforzi dell'Europa. La decisione di acquistare titoli di Stato italiani equivale ad accettare che gli stati membri dell'area euro non sono in grado o non vogliono rispondere efficacemente» alla crisi «lasciando la Bce come ultima risorsa. E questo potrebbe cambiare la natura dell'Unione monetaria». La riunione sarà probabilmente tesa con le divisioni fra Nord e Sud Europa. «La decisione di acquistare titoli di stato dell'Italia e della Spagna» si tradurrà nella maggioranza dei membri del consiglio direttivo a favore e una fazione guidata dalla Germania contraria. La Bce per frenare il contagio «dovrebbe acquistare una significativa quota di bond. L'Italia e la Spagna emettono 600 miliardi di euro di bond l'anno e secondo Bnp Paribas» la Bce «potrebbe acquistarne 230-400 miliardi di euro».

BCE, RISPOSTA DECISA AI MERCATI
La Bce risponderà in modo deciso sui mercati. È quanto affermano alcune fonti secondo cui nella riunione del consiglio direttivo che doveva decidere sull'acquisto di titoli di stato italiani e spagnoli. Nella riunione, spiegano le fonti, è stata attentamente esaminata la situazione dell'Italia e tenuto conto della posizione di Francia e Germania espressa nella nota congiunta emessa due ore fa.

PRESSIONI BERLINO-PARIGI Silvio Berlusconi spera sull' acquisto di bond italiani da parte della Banca Centrale Europea. E il comunicato congiunto con cui Francia e Germania, pur lodando la manovra, ne chiedono l'immediata attuazione, sembra, per alcuni osservatori, il «prezzo» che l'Italia deve pagare. Un 'compromessò che appare il frutto di una lunga giornata di contatti telefonici che il presidente del Consiglio, da villa La Certosa, ha avuto con le principali Capitali europee, a cominciare da Berlino e Parigi. Ora il Cavaliere può guardare con un pò più di ottimismo alla riapertura dei mercati, grazie alla 'coperturà dell'Eurotower. Anche se per tirare un sospiro di sollievo dovrà attendere l'apertura delle borse asiatiche che stanotte diranno se quello di domani rischia di essere un nuovo 'black monday' per la finanza mondiale. Solo allora saprà se l'intervento di Francoforte ha prodotto gli effetti sperati o se, come teme qualcuno nel governo, anche gli Stati Uniti finiranno nel mirino degli speculatori con conseguenze imprevedibili per l'Europa e per l'Italia.

Intanto, però, sul fronte politico il Cavaliere paga un prezzo non indifferente. Ufficialmente palazzo Chigi non conferma contatti con i leader europei in vista della decisione della Bce. Un modo per salvaguardare l'autonomia della Banca centrale europea. Ma, in via riservata, fonti della maggioranza confermano che il premier ha avuto «continui contatti» con diversi «colleghi europei e non». Sarà un caso, ma poco dopo il Wall Strett Journal ipotizza «massicci acquisti» di bond italiani e spagnoli da parte dell'Eurotower. Passa ancora qualche minuto e Berlino e Parigi scrivono un comunicato congiunto in cui si loda la manovra italiana, ma si chiede anche di attuare «rapidamente e completamente» le misure per raggiungere il pareggio di bilancio con un anno d'anticipo. Toni perentori, solitamente riservati alla Grecia, che rischiano di dare forza alle opposizioni che accusano il governo di essere stato «commissariato». Stesse critiche peraltro espresse da Mario Monti che in un editoriale sul Corriere della Sera ha accusato il governo di avere scarso peso in Europa. Tanto che Fabrizio Cicchitto è intervenuto per togliergli il ruolo di 'tecnicò visto il suo essersi schierato.ÿE qualcuno nel governo e nella maggioranza ricorda come lo stesso Berlusconi, qualche settimana fa, si fosse sfogato proprio sulla cancelliera tedesca, sostenendo che oltre alle misure Berlino pretendeva una svolta politica. Lui continua a ripetere che la stabilità è l'unica ricetta contro la crisi. Non ha dunque nessuna intenzione di farsi da parte, ma i mercati domani potrebbero riservargli amare sorprese costringendolo a tirare fuori dal cassetto quel 'piano B' di cui ormai, nel governo, si parla apertamente. Si tratta di una serie di misure, ancora al vaglio, da attuare eventualmente in aggiunta all'anticipo della manovra. Di idee ne circolano tante, come un'ulteriore stretta sulle pensioni e un incremento dell'Iva su alcuni prodotti. Ipotesi che Berlusconi spera di non dover tradurre mai in un decreto , ma che potrebbero essere pronte sul tavolo per passare al vaglio del cdm: «Un 'piano B' ce l'hanno tutti, Spagna in testa, perchè nessuno sa come reagiranno domani i mercati», ammette una fonte di governo.

S&P, DEBITO USA CRESCERA' RISCHIO DI ULTERIORE ABBASAMENTO GIUDIZIO Il debito degli Stati Uniti è destinato a crescere nei prossimi dieci anni anche con l'accordo sul tetto deciso in extremis, e per questo le prospettive negative del rating segnalano un rischio che nei prossimi mesi si arrivi a un ulteriore abbassamento del giudizio. E' quanto sottolinea, in un'intervista a Fox Nes, il direttore operativo di Standard and Poor's Davide Beers rispondendo alle pesanti critiche del Tesoro americano dopo il taglio del rating Usa da parte dell'agenzia internazionale. Secondo Beers ogni futuro accordo sul bilancio, per essere credibile, dovrà avere il supporto di entrambi gli schieramenti politici per evitare l'impasse vista nei mesi scorsi. Anche un altro rappresentante dell'agenzia, Jhon Chambers, in un'intervista alla Abc, ha respinto le critiche dell'amministrazione americana e rilevato come ci sia una probabilità su tre che il rating degli Usa, dopo la perdita della tripla A, sia ulteriormente abbassato a causa del deterioramento del bilancio o dello stallo politico. Ci vorrà così del tempo affinché gli Stati Uniti riottengano la tripla A e fra le condizioni anche Chambers cita la capacità di raggiungere a Washington un consenso fra gli schieramenti maggiore di quello attuale.

BORSA TEL AVIV CHIUDE IN FORTE CALO, -7%
La Borsa di Tel Aviv ha chiuso oggi una convulsa giornata di contrattazioni con una perdita media di più del 7%. Il TA25, indice delle 25 maggiori società per capitalizzazione, ha registrato una perdita del 7,1%; delle 100 maggiori società del 7,2%. Le perdite più forti sono state rilevate dagli indici settoriali: quello del petrolio e gas è sceso del 9,5%, delle industrie tecnologiche del 7,6%. La Borsa di Tel Aviv, unica oggi aperta nelle economie occidentali sviluppate, ha risentito soprattutto degli effetti del declassamento del debito pubblico degli Usa

BORSE MEDIO ORIENTE IN CALO DOPO TAGLIO RATING USA Borse del Medio Oriente e del Golfo in calo sui timori per una nuova recessione mondiale e dopo il taglio del rating degli Stati Uniti. Sui mercati della regione, aperti la domenica (giorno di chiusura per Europa e Stati Uniti) hanno prevalso le vendite in attesa delle decisioni delle riunioni del G7, del G20 e della Bce previste oggi. L'indice della piazza finanziaria di Dubai ha perso il 3,7% portando il passivo rispetto ai livelli massimi di aprile al 12%. In deciso ribasso anche la Borsa di Tel Aviv che cede il 6%, il peggior calo dal novembre 2008. Perdite anche sul mercato del Qatar (-2,51%) e dell'Oman (-1,87%) mentre ha chiuso quasi invariata la Borsa dell'Arabia Saudita che però sabato aveva ceduto oltre 5 punti percentuali.

(fonte leggo.it)

martedì 2 agosto 2011

CRISI USA: OK DELLA CAMERA SUL DEBITO, ORA IL SENATO


L'accordo sull'aumento del tetto del debito pubblico Usa passa il primo traguardo al Congresso: il primo via libera è arrivato stasera dalla Camera, con 269 voti a favore e 161 contrari. Per l'occasione è tornata in aula anche Gabrille Giffords, la deputata democratica ferita gravemente in gennaio in una sparatoria in Arizona. Fra poche ore toccherà al Senato. Poi, con la firma del presidente, l'accordo sarà legge, evitando il default dello stato, previsto per il 2 agosto se il tetto del debito non fosse stato alzato. La diplomazia è stata al lavoro nei corridoi di Capital Hill l'intera giornata, per raccogliere i voti necessari. L'accordo (se sarà approvato) scongiura il rischio di un default, ma non quello di un downgrade (abbassamento della valutazione) del debito pubblico americano da parte delle agenzie di rating: l'ammontare della misura, un aumento del tetto del debito da 2.100-2.400 miliardi di dollari e tagli per almeno 2.100 miliardi di dollari in 10 anni, è decisamente inferiore ai 4.000 miliardi di dollari identificati da Standard & Poor's per il mantenimento del rating AAA (il migliore). E l'impatto della misura sull'economia, già fragile, preoccupa. «L'accordo è positivo per l'economia, evita altri danni» afferma il segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Il presidente della Fed, Ben Bernanke, convoca una riunione del board per discutere di «politiche fiscali e di bilancio». Secondo gli osservatori, la Fed dovrà aiutare ancora l'economia. Barack Obama ha rassicurato: «I tagli saranno graduali, non peseranno e ci consentiranno di continuare a effettuare investimenti in settori che creano occupazione». Ma il presidente non convince i mercati: Wall Street, dopo un balzo iniziale, procede negativa, con la doccia fredda dell'indice Ism manifatturiero sceso ai minimi degli ultimi anni, confermando le difficoltà della ripresa. La crescita americana è lenta e i tagli alla spesa nell'accordo sull'aumento del tetto del debito potrebbero rallentarla ulteriormente. Se ci sarà un downgrade da parte delle agenzie di rating, la frenata potrebbe essere anche più forte. Standard & Poor's ha messo sotto osservazione il rating degli Stati Uniti e messo in guardia su un possibile downgrade nei prossimi 3 mesi. Moody's e Fitch si sono mostrate più caute, evidenziando che gli Usa potrebbero mantenere la tripla A. Un downgrade da parte di una sola agenzia sarebbe maggiormente gestibile e avrebbe un impatto più ridotto. «Abbiamo contatti regolari con le agenzie di rating» afferma il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, sottolineando che l'accordo rappresenta «una vittoria per gli americani» e un «messaggio rassicurante per il mondo». L'accordo prevede un aumento del tetto del debito di 2.100-2.400 miliardi di dollari, tagli alle spese immediati per 1.000 miliardi di dollari, fino ad arrivare a 2.100 miliardi complessivi in 10 anni. Una commissione bipartisan sarà creata per determinare ulteriori tagli per 1.500 miliardi di dollari e dovrà presentare le proprie proposte entro il Giorno del Ringraziamento, a novembre. Il Congresso dovrà approvare i tagli proposti entro il 23 dicembre, altrimenti scatteranno tagli automatici a sanità e difesa.

BORSE ASIATICHE IN CALO La scossa sui mercati è arrivata anche in Asia e il cerchio si chiude e si ricomincia. L'indice MSCI Asia Pacifico ha perso l'1,6%, il maggior calo dal 12 luglio, dopo i dati che mostrano la crescita della produzione negli Stati Uniti più lenta degli ultimi due anni e inacidiscono le attese di guadagno per gli esportatori asiatici. BHP Billiton, la compagnia mineraria numero uno del mondo, affonda del 2% a Sydney e Rio Tinto dell'1,8%. Samsung Electronics, il produttore di elettronica sudcoreano che ha nell'America il suo secondo mercato per le vendite, è sceso dell'1,7% a Seoul. LG Electronics ha perso l'1,2%, Canon lo 0,5% a Tokyo. Li & Fung Ltd., il principale fornitore di giocattoli e vestiti per i dettaglianti tra cui Target e Wal-Mart Stores ha ceduto lo 0,5% a Hong Kong. Tonfo sull'annuncio di utili in calo del 53% per Cosco che perde l'11%. Di seguito, gli indici dei titoli guida delle principali borse di Asia e Pacifico. - Tokyo -1,21% - Hong Kong -0,58% (seduta in corso) - Shanghai -1,19% (seduta in corso) - Taiwan -1,34% - Seul -2,35% - Sidney -1,43% - Mumbai -0,95% (seduta in corso) - Singapore -1,03%(seduta in corso) - Bangkok -0,43% - Giakarta -0,30% (seduta in corso).

(fonte leggo.it)