In Italia «la crisi ha portato indietro le lancette della crescita di ben 35 trimestri, quasi dieci anni» e l'attuale «moderata ripresa» ne ha fatti recuperare 13. È quanto si legge nel rapporto annuale dell'Istat, in cui si sottolinea anche che nel decennio 2001-2010 l'Italia «ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i Paesi dell'Unione europea, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2% contro l'1,3% registrato dall'Ue e l'1,1% dell'Uem».
L'Istat rileva in particolare negli anni «un graduale scollamento della performance italiana rispetto alle altre maggiori economie dell'Unione che è divenuto più evidente nella fase di ripresa 2006-2007 e si è aggravato con la crisi». Inoltre, si legge ancora nel rapporto, «per la sua vocazione produttiva e gli scarsi margini di manovra della finanza pubblica il nostro Paese ha subito la crisi in maniera comparativamente forte e stentato nella successiva ripresa: nel 2010 il livello del pil è risultato ancora inferiore di 5,3 punti percentuali rispetto a quello raggiunto nel 2007, mentre il divario da colmare è del 3,7% nel Regno Unito, del 3% in Spagna e di appena lo 0,8% e lo 0,3% in Francia e in Germania».
Tracciando il bilancio della crisi, i tecnici dell'Istat spiegano che «lo stock delle imprese si è ridotto di 43 mila unità, per 363 mila addetti». Tornando ad oggi, aggiungono con riferimento agli ultimi dati sul Pil, «la crescita nel primo trimestre è ancora molto lenta» e «in generale si riapre il divario con l'Europa». Anche per quanto riguarda la produttività del lavoro il recupero non basta a riconquistare il terreno perso, «siamo ai livelli del 2000», avvertono i tecnici dell'Istituto. Inoltre, il rapporto fa notare che «il principale fattore trainante per la ripresa è stata la domanda estera, che comunque era anche stata la componente che aveva guidato la caduta nel corso della recessione».
Tuttavia, si legge nel volume, «dopo aver agito da traino nella fase di recupero dell'attività industriale, la componete estera della domanda ha però assunto nel periodo più recente un ruolo frenante: il fatturato realizzato sui mercato esteri, che era in fortissima crescita sino al terzo trimestre, ha registrato nel quarto trimestre del 2010 e ancora all'inizio del 2011 un'evoluzione assai modesta, mentre quello relativo alla componente nazionale ha mantenuto una dinamica più moderata, ma persistentemente positiva».
Guardando sempre all'estero, i tecnici dell'Istat evidenziano che «le piccole e medie imprese hanno reagito meglio sia nella fase recessiva che, e sopratutto, in quella espansiva, mostrando la capacità di riposizionarsi sui mercati internazionali. Mentre le grandi imprese rappresentano il segmento più in difficoltà specialmente nei mercati europei».
UN QUARTO DEGLI ITALIANI A RISCHIO POVERTA' Circa un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni) «sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale». Si tratta di un valore - rileva l'Istat nel rapporto annuale presentato oggi - superiore alla media Ue che è del 23,1%. Il rischio povertà riguarda circa 7,5 milioni di individui (12,5% della popolazione).
Mentre 1,7 milione di persone (2,9%) si trova in condizione di grave deprivazione si trova 1,7 milione (2,9%) e 1,8 milione (3%) in un'intensità lavorativa molto bassa. Si trovano in quest'ultima condizione l'8,8% delle persone con meno di 60 anni (6,6% contro il valore medio del 9%). Solo l'1% della popolazione (circa 611 mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di povertà, deprivata e a intensità di lavoro molto bassa.
Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57% delle persone a rischio povertà (8,5 milioni) e il 77% di quelle che convivono sia col rischio, sia con la deprivazione sia con intensità di lavoro molto bassa (469 mila).
MEZZO MILIONE DI GIOVANI HA PERSO IL LAVORO «In Italia l'impatto della crisi sull'occupazione è stato pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità». I più colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d'età in cui si registrano 501 mila occupati in meno. È quanto emerge dal rapporto annuale 2010 dell'Istat.
L'oltre mezzo milioni di occupati in meno (-2,3%) in due anni è, quindi, il risultato di una perdita di 501 mila posti tra gli under 30 (-13,2%), di un calo dei 322 mila unità nella fascia d'età compresa tra i 30 e i 49 anni (-2,3%) e di un aumento di 291 mila occupati tra gli over-50 (+5,2%). Analizzando più da vicino i dati, l'Istat fa notare che «nel biennio la discesa della domanda di lavoro maschile (-3,1%, pari a -430 mila unità) ha pressochè dimezzato la crescita intervenuta tra il 2000 e il 2008; la flessione dell'occupazione femminile ha interrotto (-1,1%, pari a -103 mila unità) ha interrotto il precedente incremento della partecipazione al mercato del lavoro».
Più in particolare, spiega l'Istituto, nella media del 2010, «la contrazione occupazionale si è concentrata nella componente maschile, il cui livello è di poco superiore a quello toccato nel 2005». Guardando ai diversi settori, si sottolinea nel rapporto, «la perdita di manodopera industriale (-404 mila unità nel 2009-2010) ha contribuito per i tre quarti alla caduta di domanda totale nel biennio».
ITALIA SOTTO I BIG UE Le famiglie italiane, per salvaguardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio, «sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell'Uem», ovvero dell'eurozona. È quanto emerge da rapporto annuale 2010 dell'Istat, dove, inoltre, si sottolinea che lo scorso anno la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata aL 9,1%, «il valore più basso dal 1990».
Nel 2010, evidenzia l'istituto di statistica, il reddito disponibile delle famiglie è tornato a crescere (+1%), dopo la flessione del 3,1% del 2009. Tuttavia, considerando l'inflazione, il loro potere d'acquisto ha subito una riduzione dello 0,5% rispetto al 2009, anno in cui era stato già registrato un consistente calo del 3,1%. Anche la spesa per consumi, dopo la flessione dell'1,8% del 2009, ha ripreso a crescere, aumentando del 2,5% in termini nominali e dell'1% in quantità.
La dinamica dei consumi, più sostenuta rispetto a quella del reddito, ha dunque ulteriormente ridotto il risparmio, diminuito in valore assoluto del 12,1% nel 2010 rispetto al 2009, quando si era già avuta una riduzione del 12,6%.
(fonte leggo.it)